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Il Fopponino del 27 Aprile 2025

  • Immagine del redattore: Fopponino Milano
    Fopponino Milano
  • 13 ore fa
  • Tempo di lettura: 7 min

Seconda Domenica di Pasqua

27 Aprile 2025

II Settimana Diurna Laus

Domenica della Divina Misericordia


27 APRILE 2025: GRAZIE papa Francesco!


“Per questo ora sono qui”


      Ho tra le mani un libro dal titolo SPERA: è L’autobiografia di Papa Francesco scritta con il giornalista Carlo Musso e fin dal Prologo il racconto “mi ha preso” e “mi ha fatto capire molte cose decisive”  per comprendere la sua persona e il suo modo di pensare e di scegliere, di muoversi e di prendere posizione.

Trovo questo inizio così importante e significativo che lo affido alla tua lettura!

 

         “Raccontano che si udì una scossa tremenda, come un terremoto.

Tutto il viaggio era stato accompagnato da vibrazioni forti e sinistre, e “l’inclinazione era tale che la mattina non potevamo appoggiare la tazza con il caffelatte perché si sarebbe rovesciata”, ma quella era un’altra cosa: somigliava più a un’esplosione, come una bomba. I passeggeri uscirono dai saloni e dalle cabine e si riversarono sui ponti per cercare di capire che cosa mai stesse accadendo. Era pomeriggio inoltrato e la nave puntava verso le coste del Brasile, in direzione Porto Seguro. Non era una bomba: un tuono sordo, piuttosto. Il piroscafo continuava a procedere ma la sua corsa era diventata folle, come un cavallo imbizzarrito, ora sbandava gravemente, e rallentava. Un uomo, dopo essere rimasto per ore aggrappato a un legno dell’oceano, avrebbe poi testimoniato di aver visto con chiarezza sfilarsi l’elica e l’albero del motore di sinistra. Completamente. L’elica, raccontarono, aveva squarciato lo scafo in una profonda ferita: l’acqua entrava copiosa, allagando la sala macchine, e avrebbe presto invaso pure la stiva, poiché anche le porte stagne a quanto pareva non funzionavano a dovere.

         Raccontarono che gli orchestrali ricevettero l’ordine di proseguire a suonare. Senza sosta. La nave continuava a inclinarsi sempre di più, il buio avanzava, il mare si ingrossava.

         Quando fu evidente che le prime rassicurazioni ai passeggeri non potevano più bastare, il comandante diede ordine di fermare le macchine, fece suonare la sirena d’allarme e i marconisti lanciarono il primo SOS. Il segnale di soccorso fu raccolto da varie imbarcazioni, due piroscafi e perfino un paio di transatlantici, che si trovavano nelle vicinanze. Accorsero immediatamente, ma furono tutti costretti ad arrestarsi a una certa distanza perché una vistosa colonna di fumo bianco faceva temere una disastrosa esplosione delle caldaie. Dal ponte, con il suo megafono, il comandante cercava sempre più disperatamente di invitare alla calma e coordinava le operazioni di soccorso, dando priorità a donne e bambini. Ma quando sopraggiunse la notte, una notte buissima di luna nuova e anche l’erogazione di energia elettrica a bordo si interruppe, la situazione precipitò del tutto.

Furono calate le lance di salvataggio, ma l’inclinazione della nave ormai era terribile: molte colarono subito a picco dopo aver colpito la scafo, altre si rivelarono fatiscenti e inservibili, imbarcavano acqua che i passeggeri erano costretti a levare utilizzando i loro cappelli. Altre ancora, prese d’assalto, si rovesciarono o affondarono per il sovraccarico. In parecchi, artigiani e contadini delle valli e delle pianure, non avevano mai visto il mare prima di allora, e non sapevano nuotare. Preghiere e urla si mescolavano. Fu il panico. Molti passeggeri caddero o si gettarono in mare, annegando. Alcuni, così dissero, furono vinti dalla disperazione. Altri ancora, come riportò la stampa locale, furono divorati vivi dagli squali.

         In quel pandemonio le zuffe non si contavano, ma anche i gesti di coraggio e di abnegazione. Dopo aver soccorso decine di persona, un giovane a cui era stato assegnato un salvagente attendeva il suo turno per gettarsi in acqua. Fu allora che vide un vecchio che non sapeva nuotare e non aveva trovato posto in nessuna barca: chiedeva aiuto. Il ragazzo gli fece indossare il suo salvagente, si getto in mare insieme a lui e cercò di arrivare alla scialuppa più vicina. Nuotò forsennatamente quando dalle onde si levarono voci sempre più concitate: squali! Gli squali! Fu aggredito. Da una lancia un suo compagno riuscì a issarlo a bordo, ma le ferite erano devastanti. Poco dopo morì.

         Quando la sua storia fu raccontata dai superstiti, l’Argentina ne fu commossa. Nel suo paese natale, nella provincia di Entre Rìos, a quel ragazzo fu intitolata una scuola. Era figlio di un migrante piemontese e di una donna argentina, e aveva appena compiuto 21 anni: si chiamava Anacleto Bernardi.

Ben prima della mezzanotte la nave era ormai del tutto invasa dall’acqua, si alzò verticalmente di prua e con un ultimo gemito fragoroso, quasi animalesco, colò a picco, a oltre 1400 metri di profondità. Diverse testimonianze concordarono nell’affermare che il comandante restò a bordo fino alla fine, facendo suonare altri orchestrali rimasti la “Marcia Reale”. Il suo corpo non fu mai trovato. Di certo, appena prima che il piroscafo si inabissasse, vennero uditi molti colpi di arma di fuoco, esplosi, si disse, dagli ufficiali che, dopo aver fatto quanto possibile per i passeggeri, avevano deciso che non avrebbero affrontato lo strazio dell’annegamento.

         Alcune lance riuscirono a raggiungere le navi vicine e, insieme a quelle provenienti dalle altre imbarcazioni accorse, aiutarono a portare in salvo diverse centinaia di persone. Il recupero dei pochi superstiti che tentarono di rimanere a galla come potevano proseguì fino a tarda notte. Quando, prima dell’alba, sopraggiunsero sul luogo del disastro altri piroscafi brasiliani non trovarono più alcun sopravvissuto.

         Quella nave, lunga quasi 150 metri, era stata a inizio secolo il vanto della marina mercantile, il più prestigioso transatlantico della flotta italiana, aveva trasportato personaggi come Arturo Toscanini, Luigi Pirandello o Carlos Gardel, una leggenda del tango argentino. Ma quei tempi erano passati da un pezzo. In mezzo c’era stata una guerra mondiale e l’usura, l’incuria e la scarsa manutenzione avevano fatto il resto. Ora la nave era conosciuta piuttosto come la “balaìna”, la ballerina, per le incerte condizioni generali. Quando partì per il suo estremo viaggio, nella perplessità del suo stesso comandante, aveva a bordo più di 1200 passeggeri, in prevalenza migranti piemontesi, liguri e veneti. Ma anche dalle Marche, dalla Basilicata, dalla Calabria.

         Secondo i dati forniti dalle autorità italiane dell’epoca, nel disastro morirono poco più di 300 persone, in massima parte membri dell’equipaggio, dissero; ma i giornali sudamericani riportarono una cifra ben più alta, oltre il doppio, includendo anche clandestini, diverse decine di emigranti siriani e i braccianti agricoli che dalle campagne italiane andavano in Sudamerica per la stagione invernale. Minimizzato o coperto dagli organi del regime, quel naufragio fu il “Titanic” italiano”.

 

         Non so dire quante volte ho sentito raccontare la storia di quella nave che portava il nome della figlia di re Vittorio Emanuele III, destinata anch’essa a una tragica morte, nel lager di Buchenwald, diversi anni dopo, verso la fine di un’altra tremenda guerra. Il Principessa Mafalda. Quella storia la raccontavano in famiglia. La narravano nel barrio. La cantavano le canzoni popolari dei migranti, da una parte all’altra dell’oceano: Dall’Italia Mafalda partiva con un migliaio e più passegger (…) Padri e madri bracciavan i suoi figli che si sparivano tra le onde”.

         I miei nonni  e il loro unico figlio, Mario, il giovane uomo che sarebbe diventato mio padre, avevano comprato il biglietto per quella lunga traversata, per quella nave salpata dal porto di Genova l’11 ottobre 1927, con destinazione Buenos Aires. Ma non la presero.

Per quanto ci avessero provato, non erano riusciti a vendere in tempo ciò che possedevano. Alla fine, loro malgrado, i Bergoglio furono costretti a scambiare il biglietto, a rimandare la partenza per l’Argentina.

Per questo ora io sono qui.

Non immaginate quante volte mi sia trovato a ringraziare la Provvidenza Divina”.

Francesco


 

AVVISI DELLA SETTIMANA


SABATO  26  APRILE, ore 10, a ROMA: 

Rito funebre di suffragio e di saluto a Papa Francesco


TESTAMENTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Miserando atque Eligendo

            Nel Nome della Santissima Trinità. Amen.

Sentendo che si avvicina il tramonto della mia vita terrena e con viva speranza nella Vita Eterna, desidero esprimere la mia volontà testamentaria solamente per quanto riguarda il luogo della mia sepoltura. La mia vita e il ministero sacerdotale ed episcopale ho sempre affidato alla Madre del Nostro Signore, Maria Santissima. Perciò, chiedo che le mie spoglie mortali riposino aspettando il giorno della risurrezione nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore.

Desidero che il mio ultimo viaggio terreno si concluda proprio in questo antichissimo santuario Mariano dove mi recavo per la preghiera all’inizio e al termine di ogni Viaggio Apostolico ad affidare fiduciosamente le mie intenzioni alla Madre Immacolata e ringraziarLa per la docile e materna cura.

Chiedo che la mia tomba sia preparata nel loculo della navata laterale tra la Cappella Paolina (Cappella della Salus Populi Romani) e la Cappella Sforza della suddetta Basilica Papale come indicato nell’accluso allegato. Il sepolcro deve essere nella terra; semplice, senza particolare decoro e con l’unica iscrizione: Franciscus.

Le spese per la preparazione della mia sepoltura saranno coperte con la somma del benefattore che ho disposto, a trasferire alla Basilica Papale di Santa Maria Maggiore e di cui ho provveduto dare opportune istruzioni a Mons. Rolandas Makrickas, Commissario Straordinario del Capitolo Liberiano.

Il Signore dia la meritata ricompensa a coloro che mi hanno voluto bene continueranno a pregare per me. La sofferenza che si è fatta presente nell’ultima parte della mia vita l’offerta al Signore per la pace nel mondo e la fratellanza tra i popoli.

Santa Marta, 29 giugno 2022

FRANCESCO

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DOMENICA  27  APRILE: seconda di PASQUA

Domenica della Divina Misericordia

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INCONTRI di CATECHISMO ore 17.00 in ORATORIO 

Martedì 29 aprile, GRUPPO “CRISTIANI”: incontro di catechismo 

Giovedì 1° maggio

Memoria liturgica di s. Giuseppe lavoratore e Festa dei Lavoratori

Da oggi la recita del s. Rosario avverrà alla Cappella di Maria

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DOMENICA  4  MAGGIO: terza di PASQUA

Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore

ore 18.30: s. Messa con amministrazione della CRESIMA (mons. Carlo Ghidelli)

Di Lorenzo Federico, Mencarelli Luca, Pulignano Arianna, Ros Anna

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Dal 29 aprile al 2 maggio un gruppo di 35 persone con don Serafino

 farà un VIAGGIO artistico culturale in VENETO 

per scoprire la bellezza delle sue CITTA’ (Vicenza, Treviso e Abano),

 delle VILLE e per una sosta significativa nell’ABBAZIA di Praglia.

Da martedì 29 aprile a venerdì 2 maggio, la s. Messa feriale

sarà celebrata solo alle ore 9.00.

In Chiesa alle ore 18.15: recita del Santo Rosario


 

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